Capella Madonna della Strada, chiesa il Gesù, Roma

La rappresentazione di vita della Vergine nella Cappella di Madonna della Strada, Chiesa il Gesù, Roma.

Studi di particolari iconografici in legame con il pensiero di S. Roberto Bellarmino sj

 Autore: Eugenia Kulishenko

Nella tradizione occidentale la teologia ha lo stretto legame con l’arte in quanto veicolo di comunicazione e di esplicitazione di quel depositium fidei che dovrà essere riletto e riscoperto in tutta la sua ricchezza. Al tempo stesso alcune raffigurazioni iconografiche si possono comprendere solo all’interno di una tradizione di fede che raggiunge traguardi esplicativi in determinate epoche storiche[1]:«immagini non sono più un riflesso modesto della sapiente opera pastorale, in questo caso, il clero interviene ed elabora una composizione che è una pedagogia per immagini»[2].

Dell’influenza artistica esercitata dai gesuiti nel mondo della storia d’arte si è ripresi a discutere,accorgendosi alla presenza di un loro notevole impatto, basti citare solo i nomi come Bernini e Rubens[3].

Un esempio importante del legame tra il pensiero e la realizzazione artistica abbiamo nella Cappella della Madonna della Strada[4]che si trova nella romana chiesa-madre dei gesuiti, il Gesù, con le decorazioni dal tardo Cinquecento, un periodo di sviluppo e crescita dell’Ordine che coincide con una fase storica complessa e particolare – la Controriforma. Arte diventa uno dei mezzi per combattere l’eresia e per rafforzare la devozione dei fedeli e nella Compagnia nasce un rapporto particolare con questo mezzo potente, i frutti di questo rapporto saranno gli splendidi edifici delle chiese e le iconografie colmi dei messaggi spirituali chiari per il suo tempo, ma oggi con dei particolari per noi sfuggenti, a tal punto da chiamare insolite alcune scelte iconografiche e stilistiche.

Da un analisi attenta dei scritti teorici dei padri gesuiti, appartenenti al periodo storico in questione, si è riammersa la figura del S. Roberto Bellarmino, cardinale, predicatore, controversista, studente e rettore del Collegio Romano, predecessore della Pontificia Università Gregoriana.

Nei suoi scritti la devozione mistica alla Vergine viene espressa con una  rigorosa struttura della logica aristotelica, alla quale Bellarmino, reduce degli insegnamenti classici, rimase attaccato per tutta la vita, e l’argomento si sviluppa in due testi: piccolo manoscritto intitolato Ave Mariacomposto dalle prediche a Lovanio[5] e le pagine dedicate alla Vergine, una specie di riassunto del trattato Ave Marianella Dichiarazione più corposa della dottrina cristiana(1598) scritta per  il Papa Clemente VIII.

I lavori della decorazione nelle cappelle coincidono con la presenza del Bellarmino a Roma e il suo insegnamento nel Collegio Romano. La Cappella della Madonna della Strada può essere inserita tra i primi esempi dell’influenza del pensiero religioso dei gesuiti sull’arte[6].

 Storia e  descrizione di Cappella Della Madonna della Strada, Il Gesù, Roma.

La cappella della Madonna della Strada riceve il suo nome in memoria di un’antica chiesetta nominata S. Maria Hastariorum nel catalogo di Cencio Camerario[7]. Probabilmente questi vocaboli, mutilati dalla pronuncia volgare, nascondano il nome della nota famiglia degli Astalli, presso le case di quali sorgeva la chiesetta. Nel corso del XVI secolo il nome è stato trasformato prima in quello della Stara e poi della Strada[8].

Sant’Ignazio, fondatore della Compagnia di Gesù,  frequentava la piccola chiesetta, quando era l’ospite degli Astalli e poi, dopo la fondazione della Compagnia la riceve in dono[9]. La piccola chiesa diventa molto cara ai padri, perché proprio qui Sant’Ignazio per tanti anni ha celebrato la Santa Messa, insegnato il catechismo, ascoltato le confessioni[10]. Ma ormai la Madonna della Strada non poteva accogliere tutti i credenti ed è stata sostituita dall’odierna Il Gesù, dando il nome a una delle cappelle come la memoria.

Oggi la cappella dedicata alla Vergine Maria si trova nel capocroce della tribuna di sinistra, presso l’altare di Sant’Ignazio, con l’accesso dalla parte sinistra del transenno. La cappella corrispondente sul l’altro lato della tribuna fu dedicata a San Francesco secondo gli auspici di Francesco Borgia. In origine non vi fu nessuna dedica a gesuiti perché nessun santo gesuita venne canonizzato prima del 1622, la dedica a San Francesco oltre al rimando al Francesco Borgia faceva probabilmente anche le veci a Francesco Saverio, il più grande tra i primi missionari della Compagnia[11].

Anche se le cappelle sono indipendenti dal resto della chiesa e della sua decorazione, le loro dediche riflettono forse gli specifici interessi del fondatore dell’ordine Santi Ignazio: la Vergine Maria aveva svolto un ruolo di primo piano nella sua conversione e in seguito, Ignazio concepì l’idea di imitare la vita si san Francesco[12].

La cappella era disegnata da Vignola, ma veniva costruita sotto la direzione del Giuseppe Valeriano[13], accompagnato da Giovanni Tristano e Giovanni de Rosis.

La cappella è formata da un piccolo atrio munito d’una balaustra di accesso e da un vano a pianta rotonda, iscritto dentro una croce greca, i quali formano il quadrato in base; il pavimento è cosparso con le stelle di bronzo dorato. Sulla rotonda si innalza una cupoletta a spicchi, che riceve la luce da due finestre. La cupola poggia su otto pregiatissime colonne; due di giallo antico, die di mischio africano, altre due di portasanta, le ultime due idi breccia[14].

È evidente che l’architetto Vignola sa giocare perfettamente con le forme geometriche classiche: quadrato, cerchio e il loro «sintesi impossibile» ottagono. Nella tradizione antica e medievale, il quadrato e il rettangolo simboleggiano la terra. Quattro sono i punti cardinali, «gli angoli della terra», gli elementi del mondo nella cosmologia greca.

Il cerchio invece è un simbolo del divino. Esso suggerisce spontaneamente la pienezza, l’idea del sole, del movimento. Il semicerchio o meglio, la volta, è poi la forma che l’uomo antico attribuisce al cielo.

Un cerchio che si iscrive nel quadrato suggerisce l’idea del divino che entra nell’umano.  Unendo gli angoli di questo quadrato, e i punti di tangenza fra il cerchio e il quadrato circoscritto, otteniamo una ruota a otto raggi che ci permette di costruire un ottagono, L’ottagono è la forma di «unione tra cielo e terra», è la stella a otto rami, la cifra della Risurrezione per i primi cristiani[15].

Forse per questo Luigi Veuillot[16]ricorda la Cappella con le parole: «è uno di quei santuari dove la preghiera nasce spontaneamente dal cuore ed erompe come per naturale sorgente».

La cappella è tutta rivisita di marmi preziosi con la spesa totale di 2.100 scudi donate da tre generosissime patrone romane: Porzia Orsini, moglie di paolo Emilio Cesi, Beatrice Caetani, sposata con Angelo Cesi, nonna del Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, Giovanna Caetani, sposa di Virginio Cesi duca di Sangemini e sorella di Beatrice. Le due sorelle Caetani sono tuttora sepolte nella cappella della Madonna della Strada.

Nel libro di E. Martinori «Genealogia e cronistoria di una grande famiglia umbro-romana: i Cesi», pubblicato a Roma nel 1931 troviamo una testimonianza sulle donatrici, interessante, perché ci dà anche il nome del marmorario che ha eseguito i lavori in cappella:

«Ci troviamo dinanzi a tre patrizie evidentemente colte e non digiune di arte, poiché in luogo di offrire le somme necessarie, lasciando ai superiori della Compagnia di occuparsi del modo di erogarle, tennero a stabilire esse stesse la qualità dei marmi da impiegare e tutte le clausole del contratto, che vollero personalmente stipulare con l’imprenditore dell’opera, il ben noto marmista fiorentino Meo Bassi».

L’altare è formato da due belle colonne e contropilastri di marmo con un architrave sormontato da un timpano curvilineo.

Le pareti dell’atrio e della rotonda portano sette tavole di padre Valeriani, affiancato nella loro esecuzione da pittore Scipione Pulzone, detto il Gaetano con sette misteri della vita della Vergine, con dietro le nicchie che contengono preziose reliquie nei ricchi reliquari.  La decorazione pittorica è di una straordinaria unità: sulle pareti in senso antiorario, dalla destra verso sinistra scorrono le immagini con le storie della vita della Madonna.  La prima rappresentazione che incontriamo nell’atrio a destra è la Vergine Immacolata, l’ultima a sinistra è l’Assunzione; una specie del catechismo plastico: Maria SS. è stata Assunta in cielo, alla fine della sua vita terrena, perché è la prescelta Madre di Dio preservata dal peccato originale fin dal primo istante della sua concezione[17]. Al mezzo del ciclo troviamo Natività, Presentazione al tempio, Sposalizio, Annunciazione e Visitazione.

Questa unità nasce dall’unica fonte di ispirazione: il pensiero mariano della Compagnia, alla quale siamo accinti seguendo il testo Ave Maria, nato dalle Conciones Habitae Lovanii di San Roberto Bellarmino.

I dipinti, nati sotto questa influenza, sono uno splendido risultato di collaborazione di due pittori, uno laico, famoso al suo tempo, e tornato nel secolo nostro sotto i riflettori grazie all’intervento sapiente di Federico Zeri – Scipione Pulzone, l’altro non meno capace e bravo, ma quasi sfuggito dalle pagine della storia d’arte, forse perché le sue spalle copriva la tunica nera di un prete – padre gesuita Giuseppe Valeriano.

I pittori della cappella: padre gesuita Valeriano sj e Scipione Pulzone.

 Nella cappella Madonna della Strada incontriamo una collaborazione interessante tra un gesuita e un artista laico. Padre Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, due pittori di buona, purché forse non eccellente qualità, hanno condiviso nella storia dell’arte una sorte uguale, sono stati quasi dimenticati e la loro riscoperta arriva già nel XX secolo. L’attenzione al Scipione Pulzone fu attirata dalla pubblicazione di Federico Zeri[18]. Il valore del vero contributo dato dal Padre Valeriano è stato riconosciuto prima da Galassi Paluzzi[19]e poi da Pecchiai[20].

Giuseppe Valeriano era nato ad Aquila nel 1542, inizia a studiare la pittura nell’officina di Pompeo Cesura, un pittore aquilano molto impegnato nella sua città, cha la tradizione, pero senza i dati storiografici certi vuole vedere come allievo addirittura di Raffaello, Federico Zeri definisce il suo stile come: «intelligente accordo tra Daniele da Volterra, il primo Jacopino del Conte e la maniera emiliana»[21].  Alla fine degli anni 60 del Cinquecento Valeriano segue il suo maestro a Roma e riceve una committenza per la pala dell’Ascensione, realizzata nel 1570. Poi si sposta in Spagna dove entra nella Compagnia di Gesù e tornando a Roma, lavora al Collegio Romano, più come l’architetto, anche se tra 1586 e 1587 insieme con Pulzone decora la cappella della Madonna della Strada e la cappella della Passione, affiancato da G. Celio[22].  Contemporaneamente disegna le chiese Il Gesù nuovo a Napoli, San Michele a Monaco di Baviera e alla Genova negli anni 1583 e 1589 rispettivamente. Muore a Napoli nel 1596.

Tra i maggiori studiosi della vita di Valeriano possiamo indicare Pietro Pirri[23]. Nel suo libro dedicato al Padre Giuseppe, Pirri basandosi sulle ricerche di Galassi Paluzzi e Pecchiai attribuisce la realizzazione dell’architettura della cappella Madonna della Strada a P. Valeriano e non più a Giacomo della Porta, come riteneva all’epoca la storiografia ufficiale: «che tanto il disegno architettonico di tutta la chiesa (del Gesù), quanto quello delle cappelle, appartenga al Vignola, i cui piani, se non poterono venire tutti applicati da lui, certo non vennero mutati dopo la sua morte. Quando poi all’esecuzione delle opere costruttive e di quelle decorative, furono gli architetti della Compagnia ad attendervi, senza escludere che essi si giovassero, quando lo ritenevano opportuno, dei consigli dei più noti maestri dell’arte. Ora, la rifinitura architettonica prima e la decorazione poi delle cappelle, sono da attribuire ai gesuiti P. Giovanni Tristato e P.P. Giovanni De Rosis e Giuseppe Valeriano»[24].

Inoltre si ristabilisce, grazie ai documenti dell’archivio il periodo più esatto della costruzione e della decorazione. La costruzione durò ventisette mesi dal 5 dicembre 1584 al 13 febbraio 1587. I lavori per la cupola sono iniziati il 29 luglio 1587 e 4 maggio 1588 tutto fu finito, come risulta dai documenti contabili.

Le decorazioni pittoriche, sostanzialmente una serie di tavole con la vita della Vergine sono partite dalla primavera del 1586. Nelle note amministrative troviamo in merito: «Uscita del P. Joseffe Valeriano, il quale terrà conto minuto delli danari seguenti per conto delle pitture… Item alli 6 di maggio 1586 per pagare sette tavole per le immagini da basso sc. 32».

Inoltre vogliamo citare l’anonima Descrizione delle Pitture più Insigneche si trovano nelle Chiese di Roma del 1650: «Il Gesù nella Piazza degli Altieri […] La pittura ad olio, dalla cornice in giù, con le attioni della Madonna; l’Architetto d’essa Cappella, del molto R.do Padre Giuseppe Valeriano dell’Aquila, della Compagnia del Gesù»[25].  Dal punto di vista stilistico possiamo posizionare P. Valeriano come seguace di Sebastiano del Piombo, con una certa influenza michelangelesca.

Un altro pittore che decorò la cappella della Madonna della strada fu Scipione Pulzone (1545-1598), nato a Gaeta. Probabilmente mosse i primi passi nella pittura sotto la guida del padre stesso e ancora sedicenne, spinto dall’amore del bello e della gloria venne a Roma[26]. Talento eclettico, polivalente, di profonda cultura, non alieno dalle reticenze aristocratiche del clima intellettuale romano, Scipione Pulzone anima le sue «creature» di una solennità araldica e severa, raffinata e minuziosa, che fa di lui un prestigioso pittore d’alta società, ammirato da potenti principi e porporati[27].

Infatti, ricordiamo Scipione Pulzone per i diversi ritratti dei cardinali: Camillo Borghese, futuro Paolo V, Ferdinando de’Medici, Ricci, Serieto e anche Alessandro Farnese, il mecenate, grazie al contributo di quale è stato possibile costruire il Gesù.

Scipione con la maestranza coglie le fattezze particolari del viso, tramandandoci un’immagine del porporato maestoso, energico, ma attento e comprensivo, avvolto dal pensiero e attenzione per la sua attività politica. Con la bellezza particola Pulzone interpreta la qualità dei tessuti in particolare il rosso dell’abito, contrastato del blu scuro della tenda.

Ma non solo dei ritratti si occupa Pulzone. Nel 1574 dipinge per la famiglia Colonna la S. Maria Maddalena, facente parte di una piccola pala d’altare oggi smembrata[28].

Il semplice cadere delle pieghe d’abito, volto, perfettamente ovale, con l’espressione morbida, bellissime braccia e chioma bionda, è soprattutto la naturalezza e liberta di ogni astrazione, ciò coincide perfettamente con lo spirito della Controriforma. Inoltre non si può non notare una certa influenza della scuola veneziana in generale e di Tiziano in particolare.

Gli interessi del Pulzone iniziano a variarsi, e la sua fama cresce sempre di più.

Nei suoi lavori cominciano ad apparire i tratti naturalistici, anticipanti lo stile di Caravaggio. Avvinto dalle nuove tendenze etico-spirituali del suo tempo, Scipione segue i dettami tridentini, sfoggiando il realismo indiscusso, ma forse a prezzo di un certo indurimento delle sue figure.

Su questa strada lo accompagna un incontro fortunato con padre Giuseppe Valeriano.  Il dialogo tra arte e fede sorto nel clima postridentino darà la possibilità di una collaborazione tra due pittori: uno sacerdote e un altro laico. Padre Valeriano invita Scipione a collaborare per la realizzazione delle decorazioni nella Cappella della Madonna della Strada.

Ideatore delle opere è Valeriano stesso, Scipione con la sua mano «veste» i personaggi, realizzando gli abiti con tanta abilità «che non si possono desiderare fatti con più arte»[29]. Il reimpiego di un vasto repertorio di elementi stilistici desunti dalla pittura maggiore del Quattrocento e del Cinquecento, assume un valore antologico, ponendosi al servizio della restaurazione culturale dell’arte figurativa e creando il fenomeno definito «l’arte senza il tempo».

Scipione aprendosi all’evidenza oggettiva del momento storico, affronta il problema con piena consapevolezza e pone alla base della sua arte impersonale quella cultura figurativa di facile fruizione popolare, che recuperata dall’umanità profonda della tradizione, si fa strumento di un pensiero atemporale[30].

La figura di San Roberto Bellarmino[31]sj, la sua vita e pensiero mariano.

 Negli anni della realizzazione pittorica del ciclo mariano nella Cappella abbiamo a Roma la presenza di San Roberto Bellarmino, uno di più illustri membri della Compagnia, grande teologo e contraversistà, che ha dedicato uno spazio pur non immenso ma notevole alla riflessione mariana, avendo influenzato i suoi compagni contemporanei.

L’immagine mariana ha un valore particolare per la Compagnia. Sant’Ignazio nella sua Autobiografia[32]ricorda una notte passata presso l’altare a Monserrat all’inizio della sua conversione. In memoria di ciò i padri gesuiti nella recita privata delle litanie lauretane[33]concludono con questo titolo: «Regina Societatis Iesu ora pro nobis». Tale titolo è particolarmente legato con l’immagine della Madonna della Strada nella chiesa del Gesù, perché è la prima immagine venerata nella prima chiesa ricevuta in dono dal Papa all’inizio della storia dell’Ordine, perché i gesuiti romani per secoli hanno fatto i loro ultimi voti religiosi presso l’altare della Madonna della Strada, perché dopo le preghiere davanti all’altare della Madonna della Strada sono partiti tanti missionari Gesuiti, a cominciare da San Francesco Saverio[34], per il patronato della Vergine in questa cappella pregano anche i novizi «maggiormente affezionarsi e segnalarsi nel servizio totale del loro Re eterno e Signore universale» [35].

La decorazione della cappella della Madonna della Strada che circonda l’affresco più antico posto sull’altare mostra l’impronta del pensiero del cardinale gesuita San Roberto Bellarmino.

Gli anni della fondazione dell’Ordine dei Gesuiti e il suo sviluppo coincidono con i primi anni della formazione di San Roberto Bellarmino nato nel 1542 a Montepulciano e il pensiero gesuita[36]lascia una forte impronta sulla formazione spirituale del futuro cardinale. Nel 1560 Roberto entra nel Collegio Romano, poi prosegue i studi di teologia a Padova, e nel 1569 viene inviato da Francesco Borgia a Lovanio nelle Fiandre, dove si mostra di essere un  eccellente contraversista. Ma la predicazione fu sempre al centro dei suoi impegni. Annuncio della parola di Dio regnava su altre numerose attività e le sue prediche a Lovanio lasciano un ricco corpus dei testi[37]. Dai sermoni pronunciati proprio qui nascerà l’Ave Maria.

Il predicatore, paragonabile ad un oratore difficilmente può lasciare di se qualcosa oltre la memoria di quelli che hanno sentito i suoi discorsi, e poi forse ne hanno fatto la testimonianza scritta. Il testo preparato per essere pronunciato sulla carta in più casi risulterà secco e freddo.

Noi abbiamo un grande corpo dei scritti preparati per i sermoni da San Roberto, e purché non tutti sono alla stessa altezza letteraria alcuni trattatati, come l’argomento nostro – il testo Ave Maria, costituiscono ancora una gradevole lettura che unisce la logica, teologia, la profondità del pensiero e insegnamento morale, con una attualità sorprendente per i tempi nostri.

Nel 1617 i Premonstratensi[38]di Cambrai pubblicarono un’edizione dei sermoni di Lovanio basata sui manoscritti del Bellarmino. Ci sono nel liber 795 pagine a doppia colonna con stampa piccola. La lunghezza media di ciascun discordo si aggira sulle nove pagine. La lingua del discorso è il latino. Quarantacinque prediche sono sui Vangeli delle Domeniche e feste principali, cinque sui Novissimi, cinque sul testo Missus est Angelus, dodici sulla fede, la vera chiesa e i mali dell’eresia, otto sulle sofferenze e pene della vita e dodici sul Salmo Qui habitat in adiutorio Altissimi, Essi furono tradotti in francese nel 1856, e formano la base di un eccellente manuale per predicatori intitolato «Discorsi dai Latini», che fu pubblicato a Londra del Dr. J. Bagster nel 1902[39].

Il testo Ave Maria, entra in quarantacinque prediche domenicali ed è composto da cinque sermoni pronunciate nelle quattro domeniche di Avvento. Ciascuno dei sermoni è diviso in due parti, dove la prima è dedicata al pensiero religioso, e la seconda alle istruzioni morali per i giovani.

Il testo Ave Maria in una lingua viva e colta ha per il tema principale il passo dal Vangelo di Luca (1-26) dedicato all’Annunciazione. Seguendo il metodo ignaziano sulla composizione del luogo, Bellarmino da le descrizioni dettagliate della scena e delle figura, contribuendo alla nascita delle alcune particolarità iconografiche che troveremo nella Cappella della Madonna della Strada[40].

Nel 1576 Bellarmino sull’invito del papa Gregorio XIII si sposta a Roma dove per undici anni insegna nella cattedra restaurata di teologia controversista. Il risultato dell’insegnamento arriva a noi nelle sue Disputationes de Controversiis christianae fideipubblicate in tre volumi (1586, 1588, 1593). Un lavoro monumentale, con il compito difficile di sistematizzare le controversie teologiche in voga all’epoca, ebbe una risonanza enorme in tutta Europa. Presso le chiese protestanti in Germania ed in Inghilterra furono istituite specifiche cattedre d'insegnamento per fornire una replica agli argomenti difesi dal Bellarmino circa l'ortodossia cattolica e la sua aderenza alla Bibbia e alla storia della Chiesa. L’opera completa non è stata ancora rimpiazzata come testo classico, anche se, come si può facilmente intuire, l’avanzamento degli studi critici ha diminuito il valore di alcuni suoi argomenti storici[41].

In questo periodo Bellarmino formula le sue posizioni nella matteria degli immagini, le quali percorriamo brevemente.

 Le posizioni del San Roberto Bellarmino nella materia dell’arte.

Dopo una esplicita condanna di Erasmo, Lutero, Calvino, Zwingli posta contro le immagini sacre, il cardinale – controversista non poteva restare fuori la questione. San Roberto si concentra molto sull’aspetto teorico delle immagini, prende la forte distanza dai riformati in materia degli immagini, non solo per i motivi teologici, ma anche politici, vedendo la necessità della Chiesa cattolica di avere gli oggetti e le forme di culto visibili per diffondere una pratica religiosa che tenesse legati i cattolici alle loro istituzioni[42].

Bellarmino tratta il culto delle immagini insieme con il culto dei santi, per dare un idea della chiesa unita, dove una parte è sempre legata alle altre tramite la struttura gerarchica.

Riprendendo le posizioni degli scolastici, Bellarmino propone quattro forme di culto: il culto di latria che spetta a Dio; il culto di hyper dulia che spetta alla Vergine ed il culto di dulia che spetta i santi. Si fornisce un immagine reale, quasi tangibile dei santi e del loro ruolo.

Differenziare le immagini dagli idoli è proprio la prima preoccupazione del Bellarmino; si tratta infatti innanzi tutto di legittimare le prime rispetto al divieto testamentario.

L’immagine secondo la definizione del cardinale è «vera rei similitudo: ut cum pingimus hominem, equiim etc». Il rapporto di similitudine implica la deduzione da un’altra forma; «imago enim ab imitando dicta est»[43].  Il fatto che la similitudine debba essere vera stabilisce subito un legame con la necessità di evidenza, di rapporto con ciò sulla cui esistenza non è possibile nutrire dubbi.

L’idolo invece è tale perché «falsa similitudo, idest, repraesentat id, quod revere non est». Cosi le statue di Venere e di Minerva sono idoli perché rappresentano dee prive di un’esistenza reale o possibile, sono false immagini. Di conseguenza le immagini di Cristo e dei santi non sono idoli.

Bellarmino sottolinea la necessità che l’immagine dipinta sembri «la cosa vera». L’ancoraggio alla realtà garantisce l’onesta e l’impossibilità mettere in dubbio la propria posizione[44].

Roberto si sofferma anche sulla liceità di possedere e produrre le immagini: «Licere imagines et facere et habere»[45]facendo i riferimenti a Dio come committente e produttore di immagini sante, come la Vergine di S. Luca, all’esistenza delle stesse nelle scritture[46]. Inoltre dimostra che le immagini possono essere oggetto di culto senza pericolo di idolatria, perché non si crede che in esse ci sia qualcosa di divino, ma che attraverso di esse si onora ciò che rappresentato.

Per quanto riguarda il culto che spetta l’immagine santa, Bellarmino si rivolge a recuperare la posizione di S. Tommaso che afferma che lo stesso culto spetta all’immagine e all’esemplare[47].

Anche le questioni sull’architettura, legate alle immagine sacre non potevano non ricevere l’attenzione del Bellarmino, il quale però si è mostrato molto più morbido e flessibile nelle sue considerazioni rispetto al contemporaneo Carlo Borromeo noto per la sua rigidità espressa anche in Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiasticae.

Nelle sue Controversie, dopo affermazione riferita a noi da Vecchio e Nuovo Testamento sull’apportamento della costruzione dei templi dal Dio, cardinale definisce le forme delle chiese da realizzare[48].

La prima forma ricordata è quella del tempio di Salomone composto dal vestibolo, la nave e il sanctuarium dove c’è l’altare a cui accedono i sacerdoti.

L’altra forma proposta è quella della basilica cristiana ed anche ciò non meraviglia: il recupero dell’antichità cristiana diventa strumento di rafforzamento della devozione.

Dopo aver sottolineatati l’orientamento ad est degli edifici sacri ed aver fatto una breve storia dei primi luoghi cristiani del culto, Bellarmino ha messo in evidenza il ruolo dell’architettura in funzione dei fini liturgici: sacrifici, preghiere, conservazione delle reliquie.

Inoltre la grandezza di Dio esige degno ornamento e lo splendore del culto eleva ed istruisce i fedeli. Ornamento nelle chiese può svolgere anche il ruolo istruttivo ed educativo per i fedeli. Funzionalità, scelte ideologiche e propagandistiche hanno una preminenza nelle scelte stilistiche.

Questa posizione del Bellarmino ebbe successo e fu richiamata anche in tempi successivi poiché fondava una rinnovata possibilità di apertura verso stili esuberanti come barocco.

In tale direzione la strategia del Roberto si incontrava con quella della controriforma trionfante non più bisognosa di difendersi, ma di sottolineare a propria affermazione. La certezza del visibile confluente nella materialità di segni, luoghi e forme, era per Bellarmino strumento utile a questo scopo e generante un necessario asservimento delle arti in senso ancillare alla teologia.

Riflessioni mariane del Bellarmino

Dopo aver analizzaato le posizioni in materia dell’arte di San Roberto, torniamo  alla sua riflessione mariana. Gli incarichi romani di Bellarmino coincidono con gli anni della realizzazione della Cappella, e purchè non abbiamo i fonti che ci possono confermare i collogui diretti tra San Roberto e i pittori, il suo pensiero ha dovuto influenzare il lavoro e oggi ci permette di “decifrare” alcuni particolari iconografici.

Soffermiamoci su alcuni punti di Ave Maria. Il cardinale distingue nel suo pensiero mariano due correnti: la vita di Maria legata alla vita di Gesù e il ruolo della Maria per intercedere tra i fedeli, Gesù e Dio Padre.

Partendo dal testo di Vangelo di Luca, (1 26-38), percorrendo le frasi della Sacra Scrittura, Bellarimino svela i punti cardinali del pensiero mariano. La scelta dell’argomento possa essere spiegata dal fatto che per l’ambasciata celeste si compie la salvezza del genere umano. «Con esso l’umana natura si unisce indissolubilmente al Figlio di Dio. Per questa affinità il genere umano, destinato alla morte eterna, viene strappato dalle fauci stesse della morte, ed è sollevato all’impero celeste ed eterno»[49].

«Il sesto mese fu mandato l’angelo Gabriele da Dio a una città di Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine sposata ad uno uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe: e la vergine si chiamava Maria»(Luca 1, 26).

L’ambasciata celeste viene spedita a una Vergine che trae la sue origine da uomini chiarissimi: patriarchi, profeti, capitani e re; ma li lascia tutti indietro di molto per lo splendore di una vera nobiltà. L’angelo Gabriele si è minore della Vergine, a cui viene mandato, quanto a doni di grazia, ma certo maggiore, quanto a nobiltà di natura e di doti naturali.[50]

«Lei idi pieno diritto possiamo dire lume e ornamento della terra, dimora delle virtù, pienezza di santità, fiore stesso del genere umano»[51].

Angelo santo fu mandato da Dio per salutare ossequiosamente la vergine dalla quale nasceva il secondo Adamo, per la cui grazia noi tutti tornassimo a vita.

Tale altissima ambasciata fu mandata perché la «riparazione corrispondesse al danno»[52].

«Fu mandato si un angelo, e non angelo qualunque, ma Gabriele. S. Bernardo, esponendo questo passo, stima non senza ragione, che esso fosse il custode della Vertine SS.; e quindi non uno degli angeli minori, ma dei primi e    più altri»[53].

«La verginità è affine agli angeli. Vergine castissima ed integerrima per condizione di natura era persona umana; per purità di vita era angelo terrestre. Col corpo stava sulla terra. Quanto però a vita, costumi, anima, desiderio, contemplazione, fervore della mente, abitava sempre nel cielo»[54].

«Da ciò poi, che Cristo, “fiore del campo e giglio delle valli” volle germogliare dalla città fiorita, e nel mese di Marzo, che è il mese dei fiori; io ricavo che egli molto si diletta dei fiori. Accoglie egli bensì tutti gli uomini, che tardi si danno al ben vivere; pure abbraccia con singolare amore quelli, in cui trova il fiore della santa verginità, fiore di soavissimo odore»[55].

Luca prosegue: «A una Vergine, sposata ad un uomo, chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e la Vergine si chiama Maria».

«Ma il brano indica anche che la vergine era sposata: “A una vergine, sposata ad un uomo”. Con l’aiuto di Padri della Chiesa, S. Ignazio presso S. Girolamo in S. Matteo, possiamo trovare le ragioni di questo sposalizio. Prima per evitare l’accusa dell’adulterio, da quelli per chi il mistero rimaneva oscuro nel tempo, secondo – per avere un compagno nella fuga in Egitto, terzo – per permettere di conoscere tramite la genealogia di Giuseppe l’origine di Maria e di Gesù, la quarta – un testimonio della pudicizia di Maria, quinta – per dare un velo di scusa alle vergini, che vivessero con opinione sinistra, ove si potesse dire che anche la Madre di Dio una volta ebbe a soffrire l’infamia dell’impudicizia alla fine, il parto congiunto con la verginità poteva essere nascosto per qualche tempo al diavolo»[56].

«Negli matrimoni la prudenza degli uomini ricerca innanzi tutto la partita più possibile tra l’uomo e la donna. Cosi come Maria era giovane, anche Giuseppe doveva essere un giovane maturo, altrimenti non potrebbe ne sopportare bene i viaggi, ne fatiche, ne liberare la Vergine dal sospetto di adulterio. Entrambi sono i vergini, Maria adorna d’altissima sapienza e prudenza spirituale e così anche Giuseppe»[57].

  1. Luca esprime con tanta accuratezza il nome di questa vergine, anche perché il nome stesso è pieno del significato. Maria significa Signora, illuminata, Mare di amarezza. Maria sulla terra era un mare di amarezza, unita al suo Figlio nella fatica e difficolta, compagna sua della povertà, dei viaggi, persecuzioni, angustie. Ma ora la stessa Maria è divenuta la stella del mare, esaltata sopra tutti i cieli, diffonde i suoi raggi.

È la Regina, dunque può impetrare dal Re, suo figlio, tutto quello che vuole. È illuminata, non ignora le nostre sventure e miserie.

Per questo in difficoltà, in tentazioni, in pericoli del mare si guarda una stella e si invoca Maria[58].

«Perciò quanti siamo che navighiamo nel mare di questo secolo in mezzo a tanti pericoli; se non vogliamo annegare, diamo uno sguardo alla Stella e invochiamo Maria (Div. Bern.). Se siamo agitati dai venti delle tentazioni, sbattuti contro gli scogli delle tribolazioni, uno sguardo alla Stella, e invochiamo Maria. Se l’avarizia, se l’ambizione, se gli allettamenti della carne sbatteranno la navicella della mente, uno sguardo alla Stella e invochiamo Maria. Se turbati dalla grandezza dei delitti, confusi per la bruttezza della coscienza, atterriti per l’orrore del giudizio, cominciamo a sentirci assorbire dal baratro della tristezza, uno sguardo alla Stella e invochiamo Maria. Nei pericoli, nei dolori, nelle angustie, nei dubbi, insomma in ogni affanno di questo viaggio, uno sguardo alla Stella e invochiamo Maria. Non inutilmente fu detto: “E la Vergine si chiamò Maria”.

Non c’è nessuno, che per qualche titolo non abbia ascesso al trono di Maria. Se sei vergine, invoca la Vergine delle vergini; se sei stretto in matrimonio, invoca la Madre e la Sposa di Dio; se sei ricco e nobile invoca la Regina del cielo; se, misero ed afflitto invoca il Mare di amarezza, se peccatore, invoca la Madre della Misericordia; se giusto, invoca la Madre del Sole di giustizia. Così tutti per esperienza impareremo con quanta verità fu detto: “E la Vergine si chiamo Maria”».[59]

«L’angelo Gabriele, entrato dalla Vergine, dapprima la saluta riverentemente come Madre di Dio e Regina del cielo, quale stava per divenire da lì a pochi istanti».[60]

«Dio ti salvi, piena di grazie; il Signore è teco: benedetta tu fra le donne».

 Angelo onora la Vergine con i tre titoli altissimi. Le volge per il saluto la parola Ave. In ordine inverso per anagramma il saluto pero si trasforma nel nome di Eva, un'altra madre comune, ma contraria alla Vergine: coglie il frutto vietato, chiude il paradiso, apre l’inferno, fa venire la morte, da entrate alle fatiche, ai dolori, alle piaghe, alle ferite. Vergine invece al contrario diede il frutto salutare, ci restituì il paradiso, ci libero dall’inferno, estinse la morte, tolse le fatiche, guari le malattie.

L’uomo mortale chiama la prima madre Eva, angelo si rivolge con ottima a Maria: Ave. Maria non è tenuta da quell’anatema di scomunica, come i figli di Adamo, sicché non sarebbe possibile rivolgere a lei Ave. Anzi fra breve da lei nascerà un sommo pontefice per cui autorità tutte le genti saranno benedette e liberata dalla scomunica[61].

Primo titolo: «Dio ti salvi, piena di grazie».

«Possiamo dire che Maria SS. fu piena di grazia in tre modi. Primo: perché fu dinanzi a Dio la più graziosa fra tutte le creature. Secondo: perché ebbe abitante nel suo seno, come in tempio santissimo, la stessa fonte della grazia e della salvezza e l’autore di tutti i beni. Anche perché tutta la pienezza della grazie, che in avvenire si sarebbe dovuta diffondere per tutta la terra, fu infusa in modo meraviglioso nel seno di una Vergine. Terzo: perché fu ripiena sopra tutti gli angeli e gli uomini dei doni della grazia, cioè di fede, di speranza, di carità, di prudenza, di giustizia, di temperanza, di fortezza, di timore, di pietà ei umiltà, e delle altre grandi virtù e doni divini»[62].

«Vergine che “quanto era più grande, tanto più si umiliava in tutte le cose” (Eccli. 3,20) è quasi vaso grandissimo e capacissimo era vuoto di ogni vanità, come non sarebbe stato riempito di grazia fino all’orlo?»[63].

Il secondo titolo, la prossima frase pronunciata dall’Angelo: «Il Signore è teco».

Queste parole significano una singolare provvidenza di Dio verso Maria, qualunque cosa Maria voglia e si mette a fare, Dio darà la sua assistenza per non lasciar sbagliare in nessuna opera. Egli sempre guarderà Maria con gli occhi della sua provvidenza. Nello stesso tempo Dio fu con Maria, con il suo aiuto Lui non permise che Maria cadesse mai in alcun peccato ne mortale ne veniale[64].

Il terzo ed ultimo encomio: «Benedetta tu fra le donne».

La Vergine è benedetta fra le donne, sfuggendo alle due delle maledizioni femminili: ne fu sterile, ne partorì con dolore.

«Ci sono poi due cose per le quali si vuole benedire e lodare le donne: il frutto della fecondità e il fiore della verginità. Ma perde il secondo quella che elegge il primo. Ed ecco sola Maria, benedetta fra le donne. Essa poté unire la gloria della verginità con la lode della fecondità»[65].

«Cinque nobilissime donne e sopra le altre benedette leggiamo nei sacri libri: Maira sorella di Mosè; Anna madre di Samuele; Rut, Juditta e Abigaille. La prima lettera del nome di ciascuna di esse forma in latino il nome della Vergine nostra. Sicché intendiamo, che tutte esse furono quasi tipi e figure di Maria SS., e che Maria sola abbraccio tutte le glorie, che nelle altre furono sparse e separate»[66].

Tutti i predicatori cominciando loro predica dall’Ave Maria per essere aiutati anche ‘essi dalle sue preghiere, ed ottenere abbondanza, capacità e facilità di parola, affine di rendere cosi piana e chiara la parola di Dio, che hanno impreso a trattare, da poter essere quasi sentita con le mani da tutti gli uditori anche più rozzi e tardi d’ingenio.[67]

L’Angelo[68] si mostrò alla Vergine imitando la «forma di un bellissimo e splendidissimo giovane e di molto signorile aspetto: ma con un abbigliamento e con fattezze più auguste, che non sono quelle, onde sogliono vedersi gli altri uomini. Così si poté capire, che in quel corpo stava nascosta qualche cosa di più grande e dignitosa; e che non era venuto un uomo mortale, bensì un angelo del cielo»[69].

San Roberto affronta anche il modo con cui Maria riceve il saluto dell’Angelo, mostrando le sue virtù eccellentissime.

«Le quali cose avendo alle udite, si turbo a tali parole: a andava pensando, che sorta di saluto fosse questo»(Luc. 1.29).

«In questo silenzio e turbamento e in questo tacito pensare di Maria si traspare una verginale e tenera vereconda, un zelo singolare di prudenza, una serietà virile in una fanciulla, un consiglio e una prudenza ammirabili, una vera e profonda umiltà»[70].

La Vergine possiede cinque virtù: verginità, verecondia, costanza, prudenza e umiltà.

«Le due prime virtù, la verecondia e la verginità produssero all’animo della Vergine il turbamento e il timore; le due seguenti, cioè la costanza e la prudenza produssero il silenzio e la riflessione. L’umiltà quinta ed ultima virtù, ma non da porsi nell’ultimo posto si può riferire giustamente tanto al turbamento quanto al riflettere»[71].

Cardinale Bellarmino specifica tre gradi di umiltà: degli incipienti, dei proficienti, dei perfetti.

«Il primo grado è di quelli che guardando se stessi nello specchi della verità conoscono le loro miserie e le loro macchie, la deformità e la bruttezza loro e cominciano a dispiacere a se stessi e ad averne orrore.  […]

Il secondo grado è di quelli. Che non solo riconoscono se stessi poveri, nudi e peccatori; ma godono di essere stimati tali anche dagli altri, come essi si ritengono. Quindi né ammettono lodi false, né si scusano dei veri vizi. […]

Il terzo grado è di coloro i quali sono forniti di molti e grandi doni di Dio, e sono saliti al colmo della perfezione. Eppure ai loro occhi sono vili ed abbietti e non si antepongono a nessun altro né in parole né in fatti; piuttosto si assoggettano a tutti con sincera virtù di umiltà, non altrimenti che un albero, quanto è più carico di frutti tanto più curva i suoi rami verso terra»[72].Ed è questo ultimo grado di umiltà ha appartenuto alla Vergine SS.

«Non aveva Maria necessità di credere all’angelo; sentiva di avere concepito, e senza opera d’uomo, Lo Spirito Santo le illustrava la mente; perciò ella conosceva apertamente che portava nel suo seno il Dio vero, il Figlio del vero Dio. E per tutto questo niente si gonfio il suo spirito, anzi immantinente “andò in fretta nella montagna” per salutare la sua partente Elisabetta, e per servirla per tre misi, essa, maggiore, a quella minore, essa Madre di Dio, alla madre del precursore»[73].

Continuando con le parole dell’Evangelista, leggiamo: «Non temere Maria, perché hai trovato grazia dinanzi a Dio» (Luc.1.30).

«Angelo chiama Maria per nome e vuole che non tema.  Gli angeli santi da principio spaventano un poco, ma senza indugio dissipano ogni paura e lasciano gaudio e allegrezza nell’animo di quelli da loro visitati. I demoni invece incutono orrore, ma non sanno affatto animare e consolare.  Anzi raddoppiano lo spavento, ingenerano stupore e spingono gli uomini fino alla profonda fossa dell’impietà»[74].

Scacciato il timore, angelo Gabriele espone l’annuncio:

«Ecco che concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato figliolo dell’Altissimo; e a lui darà il Signore Iddio la sede di Davide, suo padre, e regnerà sopra la casa di Giacobbe in eterno; e il suo regno non avrà fine».

La Vergine prudente all’udire tale annunzio capì dalla forma stessa delle parole, che era proprio Lei quella felicissima donna, a cui allude la profezia di Isaia. Isaia aveva detto: «Ecco che una vergine concepirà e partorirà un figliolo: e il nome di lui sarà detto Emmanuele» (Is. 7).[75]

Maria meritamente ebbe da esclamare: «Ecco che da questo punto beata mi chiameranno tutte le età. Perché grandi cose ha fatte a me colui che è potente, e di cui santo e il nome»(Luc.1.48). Per fatto che la madre e il figlio hanno relazione fra loro, come il Figlio di Dio è un bene infinito, così l’essere Madre di Dio, importa tanta e cosi esimi preminenza, che pare essere quasi infinita.

Ci tramanda S. Luca le parole dell’Arcangelo: «Ecco che concepirai e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Questi sarà grande, e sarà chiamato figlio dell’Altissimo; e a lui darà il Signore Iddio la sede di Davide, suo padre; e regnerà sopra la casa di Giacobbe in eterno; e il suo regno non avrà fine» (Luc. 1. 31).

«Aveva letto essa di Cristo molte cose non solo in molti altri passi, ma principalmente in quello dove Isaia dice del Cristo: Ed sederà sul trono di David e avrà il regno di lui per assodarlo e corroborarlo, rendendo ragione e facendo giustizia da ora in poi e fino in sempiterno»[76].

«Dunque, la Vergine SS. Sapeva benissimo, che il Cristo sarebbe venuto, che sarebbe nato dal seme di David, che sarebbe stato Re di Israele, e che avrebbe regnato in tutta l’eternità: tosto che ebbe udito: “E a lui darà il Signore Iddio la sede di Divide, suo padre”, intese, che e si prometteva dall’angelo non altro che quel Messia celebrissimo, aspettato da tanti secoli, decantato da tanti vaticini, desiderato con tanti voti e tanti sospiri»[77].

Ma nonostante ciò, la risposta della Vergine fu titubante:

«E Maria disse all’Angelo: in qual modo avverrà questo, mentre io non conosco uomo».

Nella risposta della Vergine possiamo ammirare principalmente lo straordinario amore, il zelo straordinario di conservare la verginità. Lei «come se dicesse: Il mio Signore, testimone della mia coscienza, sa che la sua serva ha il voto di non conoscer uomo. Per qual legge con quale ordine piacerà a lui che si faccia questo? Se bisognerà chi io rompa il voto, per partorire un tale figlio, e godrà del figlio, e proverà dolore riguardo al proposito. Si faccia però la sua volontà. Se poi concepirò vergine, e vergine partorirò – e questo certo se piacerà a lui, non sarà impossibile – allora sono certo che «ha rivolto lo sguardo alla bassezza della sua serva. […]

Quale maggiore fortezza si può pensare di questa, che una nobile giovanetta abbia tentato di aprire col suo esempio l’entrata e quale conduttrice di andare innanzi alle vergini, che sarebbero venute poi alla palma di una mobilissima e difficilissima virtù e per una via insolita e fuor di mano»[78].

«Angelo promise a Mari un figlio cosi grande, cioè un re, un re eterno, e ciò che è più grande di tutto questo, un Dio vero. Sapeva quindi essa, con certezza, che poteva essere Madre di Dio, Signora del mondo, Regina degli angeli. Con tutto ciò non si allontanò dall’amore alla verginità, ma pone la domanda»[79].

Sulla domanda posta dalla Maria, l’Angelo le dà la risposta:

«Lo spirito Santo scenderà spora di te, e la virtù dell’Altissimo ti adombrerà. E per questo ancora quello che nascerà di te Santo, sarà chiamato Figliolo di Dio»[80].

«Pertanto allora la virtù dell’Altissimo adombrò la beatissima Vergine quando la maestà del Figlio, quasi lucidissima nuvola scese sopra di essa e per opera dello Spirito Santo uni a sé con strettissimo e indissolubile modo l’umana natura, formata dalla purissima carne di lei»[81].

«E la virtù dell’Altissimo ti adombrerà».

La virtù dell’Altissimo investirà la Maria tutta come una immensa nube; egli sarà nel suo seno, rimarrà in lei e lei in lui, lei vestirà di lui e sarà vestita di Lui.[82]

Segue a dire l’Angelo: «E per questo ancora quello che nascerà di te Santo, sarà chiamato Figlio di Dio. Quello che nascerà di te santo».

«Cristo non fu santo, come gli altri santi, ma in un modo singolare e proprio di lui solo. Tutti gli altri o nascono peccatori e poi si fanno santi; o nascono si santi, come Geremia e il Battista, ma furono concepiti in peccato. Che se piace, che Maria SS. Fu concepita senza peccato[83]; si deve credere però, che ciò fu per dono di grazia, non per la natura di tale concezione»[84].

E la Vergine, udite attentamente tutte queste cose, certa dell’ambasciata e sicura della verginità rispose subito: «Ecco, l’ancella del Signore, faccia si di me secondo la tua parola»[85].

Iconografia delle immagini nella  cappelle Madonna della Strada nel prisma del pensiero di San Roberto Bellarmino

Analisi aprofondita del pensiero del Bellarmino in merito ci è servita perché negli anni delle dispute teologiche accese del periodo della Controriforma la rappresentazione della Vergine diventa un segno di identità e di unità del mondo cattolico e trova la sua espressione nella decorazione di edifici sacri, altari, suppellettili sacre. Fondamentale è stato il ruolo del concilio di Trento[86](1545-1563), con le sue decisioni adottate, che da un lato mirano a togliere gli errori icnografici, per esempio, le iconografie tratte dagli Apocrifi, anche se queste avranno ancora una lunga vita. Dall’altro lato le immagini diventano un forte supporto per il catechismo ed espansione della fede cattolica. Un particolare sviluppo ricevono nuove iconografie, tra quali la Presentazione di Maria al Tempio ed l’Immacolata, entrambe ritroviamo nella Cappella della Madonna della Strata.

Nella storia d’arte possiamo distribuire le immagini della Vergine in tre grande tematiche figurative. La prima di queste sono le immagini della Vergine diventate oggetto di culto nella storia, la seconda rappresenta le opere che hanno bisogno di una lettura «iconografica in chiave simbolica, dove il valore concettuale dell’immagine ha la prevalenza sulla dimensione storico-narrativa del medesima»[87]. La terza tematica lega l’immagine alla parola della Sacra Scrittura.

Tutte le tre categorie sono rappresentate nella Cappella della Madonna della Strada. Va sottolineata inoltre l’influenza delle idee ignaziane espresse negli Esercizi spirituali: ogni dipinto porta una composizione molto realistica, ricreando lo spazio per la contemplazione dell’evento.

Nella Cappella si trova sopra l’altare il frammento dell’affresco antecedente al ciclo, oggetto del nostro studio,  trasportato qui dall’antica chiesa di S. Maria degli Astalli, e diventato dalla devozione popolare un’immagine di culto, per i gesuiti caro particolarmente in quanto l’immagine adornava la prima chiesa della Compagnia a Roma ed era visto e venerato dallo stesso Sant’Ignazio. La Madonna con il bambino in mano, oggi posta sul supporto della lastra di ardesia.

Causa diversi restauri che hanno portato non poche modifiche all’immagine, e difficile dare la datazione esatta dell’affresco, ma stilisticamente la possiamo porre tra la seconda metà del Trecento e la prima metà del Quattrocento. Restano ancora i richiami dei canoni bizantini nei colori delle vesti: Gesù in abito blu e rosso e Maria nel blu sul verde.

L’influenza bizantina scorgiamo anche «nella maniera con la quale Maria sorregge in braccio il Figlio. Gli occhi della Madre cercano di attrarre, fissandola, l’attenzione della persona che guarda. La mano benedicente del Bambino sostituisce il gesto – tipicamente iconografico – di colui che insegna o parla, mentre il libro nella mano sinistra costituisce lo scrigno, simbolo della saggezza divina. Anche gli occhi del bambino, come quelli di Maria, fissano colui che li contempla; il dipinto vuole dunque sollecitare la persona devota a entrare in comunione di preghiera e di vita con il Figlio di Dio e con Maria, sua Madre»[88].

Altra parte della decorazione e costituita da sette tavole dipinte, realizzate da Giuseppe Valeriano e Scipione Pulzone, cinque delle quali sono legate alla Scrittura, due rappresentano le scene dell’Antico Testamento e tre del Vangelo, altre due l’Immacolatae l’Assunzionetrovano la sua origine nella devozione popolare, ma oggi entrambe le rappresentazioni sono state confermate dai dogmi rispettivi.

Tutti i dipinti sono incorniciati dal marmo rosso con le venature bianche e portano le iscrizioni in lettere di bronzo dorato presi dai testi di Vecchio e Nuovo Testamento:

Percorriamoli in ordine da destra a sinistra seguendo le vicende della vita della Vergine: laNatività(«Quae est ista quae progreditur quasi aurora consurgens»[89], Cant. 6-10), la Presentazione al tempio(«Adducentur regi virgines pos eam, adducentur in templum regis»[90], Ps. 45, 15-16), lo Sposalizio(«Desponsata Mater Jesu Maria viro cui nomen erat Joseph de domo David»[91], Mt. 1,18; Lc. 2.5), l’Annunciazione(«Ecce virgo concipiet et pariet filium et vocabiutur nomen eius Emmanuel»[92], Is. 7.14), la Visitazione(«Ut audivit Elisabeth salutationem Mariae, exultavit infans in utero eius»[93], Lc. 1.41). Nell’atrio sono raffigurate la Vergine Assunta(«Quae est ista quaae ascendit de deserto deliciis affluens»[94], Cant. 8.5) dalla parte sinistra e a destra la Vergine Immacolata(«Tota pulchra es, amica mea, et macula non est in te»[95], Cant. 4.7).

L’unita al ciclo viene data non solo dal soggetto – la storia della vita della Vergine, esistono molteplici richiami tra i dipinti, tra i quali sono: il colore dell’abito della Maria SS. in rosa e celeste, la rappresentazione del Dio nelle splendide veste blu sulla nuvola di luce dorata, e dal oro e blu usato nelle rappresentazioni degli angeli nei cieli.

Scene tratte dagli apocrifi.

Attraversando l’atrio ed entrando nella Cappella, ci ritroviamo alla nostra destra la Natività della Vergine.

 Questo tipo iconografico inizia a diffondersi a partire dal basso medioevo. Sulla sua nascita e diffusione contribuisce la Legenda Aurea(CXXXI) e le narrazioni apocrife delle Pseudo Vangelo di Matteo e del Vangelo della Natività di Maria.

La scena di solito è ambientata in una camera, dove Sant’Anna giace sul letto e le levatrici prendono la cura di neonata, quasi sempre raffigurata nel momento del bagno[96].

La rappresentazione nella Cappella della Madonna della Strada ha delle divergenze.

È divisa in due livelli. Nella parte inferiore vediamo una stanza con la finestra aperta dalla quale è possibile scorgere un paesaggio con l’inizio dell’alba mattutina – la Vergine fonte della Salvezza darà la luce ad un nuovo tempo.

Ma l’alba ha anche un altro significato narrativo: i paesaggi rappresentati nella Cappella scorrono dall’alba al tramonto, mostrandoci lo scorrere della vita terrestre della Maria SS.

La Sant’Anna è circondata dalle donne-levatrice. Qui da notare un dettaglio tecnico assolutamente squisito: la donna in primo piano in abiti rosa immerge la mano nell’acqua del recipiente dorato. Un'altra donna porta un sacchetto, probabilmente con acqua. P. Valeriano, ideatore delle immagini ci ricorda importanza della Vergine, come la fonte della futura salvezza per tutto il genere umano avvalendosi alla rappresentazione dei recipienti in materiale nobile.

Un altro particolare, la Sant’Anna non è sdraiata sul letto, ma tiene la bambina in mano. Certamente, il pittore vuole sottolineare il legame tra le due donne, entrambe sante.

Tornando alle parole di San Roberto, possiamo scorgere in questa composizione un altro significato:

«Che se piace, che Maria SS. Fu concepita senza peccato; si deve credere però, che ciò fu per dono di grazia, non per la natura di tale concezione»[97].

Sant’Anna in posizione retta con la figlia in mano può rappresentare il parto leggero per la grazia divina particolare, la quale lei è stata data perché la figlia sua Vergine Maria è stata concepita senza il peccato originale.

Questa ipotesi può ricevere la conferma dalla presenza degli angeli in piano superiore, loro ali portano le sfumature di color blu e insieme le figure formano il triangolo, simbolo della Trinità.

Seguendo i scritti del Bellarmino, possiamo dedurre che gli angeli nella parte superiore del dipinto svolgono il loro terzo compito: essere messaggeri della salvezza e redenzione eterna, in quanto è nata la Vergine, prescelta Madre di Dio.

Un altro sostegno alla nostra ipotesi riceviamo dalla presenza subito a sinistra nell’atrio dell’immagine della Vergine Immacolata.

Proseguendo, incontriamo il prossimo dipinto, La presentazione al tempio.

Il tema iconografico riceve il suo sviluppo nel 1585 dopo il ripristino della festa liturgica da parte di papa Sisto V, un anno prima dell’inizio delle decorazioni nella Cappella.

Le fonti letterarie sono: il Protovangelo di Giacomo(VII e VIII), lo pseudo Matteo (IV) e la Leggenda Aurea (CXXXI).

«La scena raffigura Maria Bambina mentre sale, da sola le scale del tempio, in cima alle quali si trova il sommo sacerdote in abiti liturgici, Attorno al sommo sacerdote sta, di solito, un gruppo di vergini, gli angeli, soprattutto in periodo barocco sovrastano la scena richiamandone il senso spirituale, L’ambiente architettonico entro il quale si svolge l’evento è sempre l’esterno del tempio, e, più precisamente davanti alla porta d’ingresso»[98].

Nella Presentazione al tempiodella Cappella Madonna della Strada abbiamo alcune divergenze dall’iconografia classica.

Il dipinto è diviso sempre in due parti. Nella parte inferiore troviamo il sommo sacerdote circondato dalle figure maschile, la Vergine non è da sola, è accompagnata dalla Sant’Anna e San Gioacchino, la scena si svolge non fuori, ma dentro il tempio e dalla finestra scorgiamo il paesaggio con l’alba. La spazio superiore del dipinto rappresenta la figura del Dio con le mani disposte in gesto accogliente.

La Presentazione rappresenta la scelta della Maria SS. della via della verginità, la sua totale donazione al Dio. E come si sofferma spesso a citare Bellarmino nel suo trattato Ave Maria, la Vergine, tutta santa, era particolarmente cara al Dio, questo ci dimostra il dipinto, con la rappresentazione del gesto accogliente di saluto del Dio. La Vergine è stata investita di una grazia particolare - Immacolata concezione, ancora per questo ritroviamo le figure dei suoi santi genitori. La presenza della Maria non fuori ma dentro il tempio si spiega meno con i pensieri spirituali, ma più con il periodo storico della Controriforma. Maria, corpo mistico della Chiesa, che unirà tutti i cattolici insieme, non può essere rappresentata fuori il tempio in questo ruolo. E il paesaggio con il sorgere del sole sempre più evidente non cambia il significato: sorge la nuova era della salvezza umana e scorre il tempo della vita terrestre della Vergine.

Ora siamo arrivati all’altare con l’affresco della Madonna della Strada. Il centro della Cappella divide la rappresentazione pittorica dal punto di vista dei fonti. Abbandoniamo le rappresentazioni tratte dagli Apocrifi per passare a quelli ispirati dal Vangelo.

Scene del Vangelo. Particolarità iconografiche

 In questo paragrafo parleremo delle tre tavole Lo sposalizio della Vergine, Annunciazione e la Visitazione, tutte unite tramite il brano del Vangelo di San Luca (1, 26-38). A sinistra dell’altare troviamo lo sposalizio della Vergine.

Le radici di questa iconografia ci portano nel basso medioevo. Tra i varianti più lontani nei tempi possiamo citare Giotto nella Cappella degli Scrovegni. La scena è ispirata al Vangelo della Natività di Maria (cap. VIII) e viene rappresentata nel contesto architettonico del tempio, sia all’esterno, che all’interno. E nella figura di Maria possiamo sorgere il rimango alla Chiesa-Sposa[99].

Mostriamo le tre varianti di Sposalizi appartenenti alle epoche diverse, rispettivamente di Andrea Appiani (Milano 1754-1817), Chiesa di Sant’Eufemia, Oggiono (LC), di Perugino, 1504, oggi al Musée des Beaux-Arts, Caene, e di Giotto, nella Cappella degli Scrovegni, 1306, Padova.

La variante della Cappella della Madonna della Strada rappresenta due particolarità iconografiche: il San Giuseppe giovane e bello, nelle altre rappresentazioni lo troviamo piuttosto avanti con gli anni, e la presenta del Dio nella parte superiore del dipinto.

Il pensiero del San Roberto ci dà la spiegazione. Per quanto riguarda il matrimonio, va sempre concluso tra i pari, per questo sia Giuseppe sia Maria sono rappresenta entrambi giovani e vergini, e la presenza del Dio dà la benedizione al matrimonio, dove il frutto maggiore sarà crescere e accudire il piccolo Cristo nella sua vita ancora tra gli uomini, per compiere la sua strada verso la morte e Resurrezione.

Il passo di Luca ci parla prima dell’apparizione dell’Arcangelo Gabriele e poi prosegue, nominando il matrimonio e solo alla fine raccontando la visitazione.

«Il sesto mese fu mandato l’angelo Gabriele da Dio a una città di Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine sposata ad uno uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe: e la vergine si chiamava Maria» (Luc. 1.26).

La lettura degli immagini della Cappella può essere svolta in due direzioni. La prima la facciamo entrando come i visitatori e percorrendo tutto il ciclo delle immagini con le storie rappresentate. Il secondo modo di scorrere le immagini ci si apre, se guardiamo dal lato della tribuna, oggi affianco ad altare, allora alla nostra vista per prima appare l’Annunciazionecon lo Sposalizio a destra e la Visitazionea sinistra. La centralità ed importanza dell’Annunciazione viene sottolineata con la misura della tavola, superiore alle altre quattro presente nella Cappella.

La primi rappresentazione dell’Annunciazionesi trova ancora nelle catacombe di Priscilla, nell’alto medioevo abbiamo un’altra Annunciazionenella stauroteca di Pasquale I, databile approsimativamente 817-824, oggi nel Museo Sacro della Bibilioteca Apostolica Vaticana[100].

Tra le fonti che hanno ispirato l’iconografia possiamo citare Vangelicanonici di Matteo e soprattutto di Luca (1,26-38), affiancati dai Vangeliapocrifi, tra cui il Vangelo dello Pseudo Matteo ed il Protovangelo di Giacomo(11,1-3). Questi Apocrifi furono divulgati in occidente da Vincent de Beauvais (1250 circa) in speculum historiae e da Giacomo da Varagine (1260 circa) nella Legenda Aurea. A tali fonti apocrife va aggiunto ilVangelo Armeno dell’infanziache ebbe una grande influenza sull’iconografia bizantina[101].

Seguendo le parole dell’Evangelista possiamo definire cinque momenti nell’iconografia dell’Annunciazione: l’apparizione e il saluto dell’angelo, l’annuncio del concepimento, la spiegazione su come avvera il concepimento, l’accettazione di Maria e il concepimento stesso e la scomparsa dell’Angelo.

L’Annunciazione della Madonna della Strada rappresenta l’accettazione della Vergine e il concepimento stesso.

Ma abbiamo ancora due particolarita: rappresentazione dell’Arcangelo e la nuvola dorata che schende sulla Maria.

La bellezza dell’Arcangelo colpische, con una maestranza rara sono dipinte le sue vesti, che sottolineano la bellezza del corpo, la sua pelle bianca, un viso molto delicato. Gabriele non sta sul pavimeno, invece è sospeso in aria sulla nuvola formata dalle piccole teste angeliche. Solitamente l’angelo viene rappresentato in piedi per sottolineare le sue sembranze con un giovane e la realtà, «fisicità»  della sua apparizione. Sulla tavola nella cappella si è preferito di sottolineare l’importanza dell’ambasciatore, inviato alla Vergine. Non è un angelo comune, ma un’Arcangelo e nel suoi scritti San Roberto si concentra su questo non poco!

L’apparizione della nuvola e spiegata dalla seguente frase del San Roberto.

«Pertanto allora la virtù dell’altissimo adombrò la beatissima vergine quando la maestà del figlio, quasi lucidissima nuvola scese sopra di essa e per opera dello spirito santo uni a sé con strettissimo e indissolubile modo l’umana natura, formata dalla purissima carne di lei»[102].

Lo  Spirito Santo scende sulla Vergine e il mistero dell’Incarnazione avviene davanti ai nostri occhi.

Dopo l’Annunciazione, segue la Visitazione, la quale chiude il ciclo dei dipinti all’interno della Cappella.

La fonte di questo episodio è il Vangelo di Luca (1, 42). C’e anche legame liturgico: la festa della Visitazione si istituisce all’Occidente dal 1389, ma solo durane il Quattrocento vengono prodotti molteplici opere con questo soggetto.

La composizione viene organizzata a due figure femminili, entrambe incinte, ma li possiamo destinguere per l’età: la giovane Maria e un’po pià anziana Elisabetta. Varianti possono includere un abbraccio reciproco, come manifestazione dell’affetto spirituale o genuflessione di Elisabetta davanti alla Madonna n gesto di riconoscimento di superiorita. La scene può contere altri personaggi e vestiti d’epoca[103].

Al primo sguardo, la Visitazione nella Cappella segue lo schema classico, abbiamo genuflessione di Elisabetta, e l’abbraccio della Vergine pieno di umiltà.  Lo schema non diverge, da altri Visitazioni, per esempio da questa, realizzata da Ghirlandaio nel 1491, oggi a Louvre.

Eppure, seguendo le composizioni della Cappella della Madonna della Strada, ci accorgiamo, che questo dipinto è il primo senza l’immagine divina o angelica su di esso.

Ora si può rendersi conto che il racconto con le storie della vita della Vergine, ha anche un altro leitmotive: l’Incarnazione del Verbo, il Dio si avvicina al mondo degli uomini e si incarna nel corpo della Maria SS.

La scena di Visitazionenella Cappella non ha le immagini divine o del mondo celeste, per mandarci il messaggio: l’Incarnazione è avvenuta, e il Gesù, il vero Uomo e il vero Dio ora sta tra noi, nel corpo della Vergine. Il Dio è sceso sulla terra e l’assanza delle immagini celeste ci grida questo messaggio a gran voce.

 L’Assunzione e l’Immacolata

 Dopo aver dato la descrizione all’interno della Cappella passiamo all’atrio. Qui P. Valeriano e Scipione Pulzone realizzano due tavole con l’Assunzionedella Vergine e l’Immacolata.

L’Assunzione nasce nella devozione popolare[104]. La scena nel medioevo veniva rappresentata con l’immagine piuttosto statica della Vergine, spesso racchiusa nella mandorla, viene trasportata in cielo da angeli e cherubini. Il Cinquecento porta notevoli cambiamenti. L’Assunta è coinvolta in un dinamico movimento ascendente, nel quale angeli e putti non sono più destinati solo a sorreggere la statica figura della Vergine, ma accompagnano lei verso il cielo. Nel stabilirsi di questo tipo di iconografia un contributo inestimabile ha dato il Tiziano, quando per l’altare maggiore della chiesa di S. Maria Gloriosa dei Frati a Venezia ha eseguito la sua Assunta tra 1516 e 1518.

Mettendo a confronto le due rappresentazioni, quella di Tiziano e l’Assunta nella Cappella della Madonna della Strada non possiamo non accorgersi di certe somiglianze, ma richiami stilistici e compositivi possiamo mettere in secondo piano. Il legame molto più forte sta nel significato. Maria, con il gesto simile delle figure degli oranti, che troviamo nell’arte cristiana antica, sollevata leggerissima nel cielo dalle piccole figurine angeliche rappresenta un trionfo sulla morte, sul peccato e dona al genere umano la speranza della eterna Salvezza.

Inoltre si deve ricordare che lo stesso Pulzone realizza varie altre Assunzioni.

Ora se nella serie dei dipinti interni, aggiungiamo le due tavole nell’atrio possiamo leggere tutto il ciclo intero: la vita della Vergine, tutta santa, nata e vissuta senza il peccato, prescelta da Dio, Madre del Signore nostro Gesù, non si conclude con la morte, bensì con la vita eterna e felice sui cieli.

Il ciclo si conclude con l’Assunzione e nasce con l’Immacolata. Il dogma sull’Immacolata viene pronunciata solo nel 1854, ponendo fine al dibattito accesso tra i teologi.  Anche se la devozione popolare celebrava la festa dell’Immacolata a partire dal secolo IX.

Con l’approvazione dell’ufficio divino dell’Immacolata, concesso dal papa Sisto IV nel 1476 la scena riceve uno sviluppo e possiamo specificare tre tipi di rappresentazione. Il primo: l’incontro di Gioacchino ed Anna davanti alla Porta aurea di gerusalemme. Il secondo, nato nel Cinquecento: la discesa della Vergine sulla terra inviata dal Padre Celeste per cancellare il peccato di Eva in vista dell’incarnazione del Verbo. Il terzo: la Madonna con la luna sotto i piedi e la raggiera a forma di mandorla[105].

Il dipinto nella Cappella appartiene al secondo tipo di rappresentazione: la Vergine dai cieli scende nel mondo nostro, per diventare la Madre di Dio e portare la salvezza al genere umano decaduto nel peccato.

Grazie al testo del San Roberto, l’influenza del quale sulla realizzazione degli affresci, abbiamo potuto non solo vivere più intensamente il catechismo dipinto con il racconto della vita della Vergina, ma anche sentire, vedere, «sperimentare con tutti i sense»  il mistero dell’Incarnazione in modo molto più reale, quasi tangibile, grazie al gioco sapiente di elementi iconografici tra le prime quattro tavole e la Visitazionenella Cappella, in più, il ciclo si legge con la profondita, con il trionfo della Maria sulla morte, la sua purezza e umilta, la sua santita ci acresce le forze spirituali di proseguire sulla strada non facile della vera fede anche nei giorni nostri.

 

 

[1]  V. Francia, V., L’iconografia dell’immacolata concezione, Tesi PUG, p. 20.

[2]  C. Petri, «Le origini»,in Imago Mariae, P. Amato,(ed.),Milano, 1988, p. 5.

[3]  A. Bailey, «Il contributo dei gesuiti alla pittura italiana e il suo influsso in Europa, 1540-1773»in G. Sale(ed.),Ignazio e Arte dei Gesuiti,Milano, 2003, pp. 146-168.

[4]L’Ordine dei gesuiti riserva una nicchia profonda e molto speciale alla devozione mariana. La Vergine accompagna il fondatore della Compagnia di Gesù, Sant’Ignazio durante la sua conversione e primi anni della vita religiosa, alla Vergine lui rivolge la sua preghiera prima della visione del Cristo con la Croce nel suo viaggio verso Roma, dalla quale appunto nascerà il nome stesso della Compagnia. I successori dell’Ignazio non abbandoneranno la sua strada, riservando alla Maria SS. lo spazio d’onore, affidandosi sempre al suo aiuto e protezione. Questo riserva alla riflessione mariana un grande influsso sull’arte dell’Ordine.

[5]  Il periodo di permanenza di San Roberto a Lovanio sta tra gli anni 1569-1576.

[6]Il ruolo dell’espressione artistica per la Compagnia si può sintetizzare in tre punti principali, legati tra loro: l’arte deve essere costituita dalla matrice spirituale ignaziana, propria degli esercizi spirituali, deve supportare la pedagogia gesuitica, la quali si esprime anche attraverso l’arte, e avere il ruolo «concreto» dell’arte – servire nella costrizione delle chiese, case, collegiin L. Salviucci Insolera, «Lainez e l’arte, All’origine della concezione dell’arte nella Compagnia di Gesù»,in R. Oberholzer (ed), Diego Lainez (1512-1565) and his Generalate, Roma 2015, p. 566.

[7]Il catalogo di Cencio Camerarioè un elenco delle chiese di Roma, redatto da Cencio Savelli, camerariusdei papi Clemente IIIe Celestino III, a sua volta futuro pontefice eletto al soglio pontificio col nome di papa Onorio III(1216-1227). Esso costituisce uno dei più antichi e completi elenchi di chiese romane, risalente alla fine del XII secolo.

[8]Un frammento dell’antico affresco trasportato dalla Chiesa di Santa Maria della Strada al Gesù porta ancora questo nome.

[9]M. Armelini,Le chiese di Roma dal secolo IVal XIX,Tipografia Vaticana 1891.

[10]  A. Dionisi, Le gemelle del Vignola, Roma, 1978,p.25.

[11]H. Hibbard,«Ut picturae sermones: le prime decolorazioni dipinte in Gesù»,in R. Wittkower,(ed.), Architettura e arte dei gesuiti, Milano, 1992, p. 32.

[12]P. Pecchiai,Il Gesù, Roma, 1952, p. 95.

[13]Padre gesuita Giuseppe Valeriani, pittore e architetto, è nato all’Aquila nel 1542 e morto a Napoli nel 1595. In Spagna dove è impegnato in alcuni lavori conosce la compagnia ed entra a farne parte. Viene chiamato a Roma dal padre generale Acquaviva per sovraintendere alla opere in costruzione della Compagnia. Tre le sue opere come pittore spiccano la Cappella della Madonna della Strada al Gesù e la Cappella della Trasfigurazione in Santo Spirito in Sassia sempre a Roma. Come l’architetto Giuseppe Valeriani lavora alle chiese di San Michele a Monaco di Baviera, Il Gesù di Genova, il Gesù nuovo di Napoli, e probabilmente lascia anche il contributo nella costruzione del Collegio Romano. Ma la sua partecipazione ancora è in discussione, diverse attribuzioni nominano Ammannati.

[14]         A. Dionisi, Le gemelle del Vignola, Roma, 1978, p. 72.

[15]         J-P.Hernandez, Il corpo del nome, Bologna, 2010, p. 82, ma anche J. Hani, Il simbolismo del tempio cristiano, Edizioni, Roma, 1996, C. Jung, Uomo e i suoi simboli, edizioni varie.

[16]         Luigi Veuillot, pensatore francese, direttore dell’Univers, autore del libro “ Il profumo di Roma”  del 1865.

[17]         A. Dionisi, Le gemelle del Vignola, Roma, 1978, p. 40.

[18]Federico Zeri pubblica nel 1957 la monografia sul Scipione Pulzone da Gaeta intitolandola “ Pittura e controriforma” .

[19]C. Galassi Paluzzi, «Architetti e decoratori nella chiesa del Gesù», in Architettura ed Arti decorative, IV(Milano-Roma 1924-1925), pp. 49 – 52.

[20]P. Pecchiai,Il Gesù di Roma, Società grafica romana, 1952,  pp. 79-80, 85, 88-92, 105, 228, 266, 267, 321.

[21]         http://www.treccani.it/enciclopedia/pompeo-cesura_%28Dizionario-Biografico%29/Per approfondire l’argomento: A. Zuccari, A. – Acconci (ed.), Scipione Pulzone da Gaeta a Roma alle corti europee, catalogo della mostra (Gaeta, Museo Diocesano, 26 giugno -26 ottobre 2013), Roma, 2013; A. Zuccari, (ed.),  Scipione Pulzone e il suo tempo, Roma, 2015

[22]         CELIO, Gaspare (1571-1640), figlio di Domenico, nacque a Roma nel 1571. Fu pittore, scrittore, matematico, architetto civile e militare.

[23]         PIRRI, Pietro. - Gesuita e storico (Cerreto di Spoleto1881- Roma1969); entrato nella Compagnia nel 1919, si dedicò per tempo agli studî storici prediligendo indagini storiche erudite, coscienziose e minute. La sua opera principale è di storia risorgimentale, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato(5voll., 1944-61), per il quale attinse ad archivî sino a quel momento inaccessibili; dedicò pure la sua attenzione alla storia della Compagnia: Il p. Joannes Roothaan, 21°generale della Compagnia di Gesù(1930); I carteggi del p. Taparelli d'Azeglio(1932); L'interdetto di Veneziadel 1606e i Gesuiti(1959).

[24]         P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma, 1952, pp. 88-89.

[25]         P. Pirri, Giuseppe Valeriano, S.J. architetto e pittore, 1542-1596, Vol. 31, 1970, pp. 80-82.

[26]         L. Mariotti,  «Cenni su Scipione Pulzone detto Gaetano», in L’Artevol. XXVII, anno 1924, p. 27.

[27]E. Vaudo, E., Scipione Pulzone da Gaeta, pittore, Roma, 1976, p. 16. Per approfondire l’argomento: A. Zuccari (ed.), Scipione Pulzone e il suo tempo, Roma, 2015

[28]         A. Venturi,  Storia dell’Arte Italiana, Milano, 1934, vol. IX, parte VII, p. 763.

[29]G. Baglione,  Le vite de’Pittori, Scultori et Architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma, 1642,p.  53.

[30]         E. Vaudo, Scipione Pulzone da Gaeta, pittore, Roma, 1976, p. 30.

[31]         Il 22 dicembre1920papa Benedetto XVriassumendo l'iter per la sua beatificazione, promulgò il decreto dell'eroicità delle sue virtù; poi il 13 maggio1923, durante il pontificato di Pio XI, fu celebrata la sua beatificazione e dopo sette anni, il 29 giugno1930fu canonizzato. Più breve è stato quindi il processo di canonizzazione e ancora più rapida la nomina a Dottore della Chiesa, conferitagli il 17 settembre1931sempre da parte di Pio XI. La sua festa liturgica è attualmente il 17 settembregiorno del suo trapasso mentre in passato era il 13 maggiogiorno della sua beatificazione; è patronodella Pontificia Università Gregoriana, dove è comunque commemorato il 13 maggio, dei catechisti, degli avvocati canonisti, dell'arcidiocesi della città di Cincinnatinegli USA.

[32]         I. Loyola, Autobiografia, cap. 17 – 18.

[33]         Con il termine litanie lauretane(dette anche litanie della Beata Vergine Maria) si indicano le suppliche che si pregano alla fine del rosario. L'appellativo «lauretane» non indica il luogo di origine, ma il luogo che le rese celebri: la Santa Casadi Loreto, dove si cantavano dalla prima metà del secolo XVI. Le litanie alla Madonna sono più antiche; fu la fama del santuario a diffonderle nella Chiesa cattolica latina; oggi sono una delle preghiere più popolari alla Madre di Gesù.

[34]         A. Dionisi, Le gemelle del Vignola, Roma, 1978, pp. 33-34.

[35]         I. Loyola, Esercizi Spirituali, n. 97.

[36]Roberto entra in contatto con il pensiero religioso dell’Ordine grazie al padre Pascasio Broet, uno dei primi compagni di Sant’Ignazio che si troverà in Montepulciano durante la prima infanzia di Bellarmino. Questa notizia l’apprendiamo dalla sua biografia. Ma poi continuerà gli studi in collegio dei gesuiti sempre a Montepulciano.

[37]         I testi di prediche bellarminiane si trovano: le Conciones Lovaniensesin Opera Omnia, Napoli, 1860, i Sermones capuani e romani in Sebastianus Tromp, Opera oratoria postuma, 11 vol, 1942-1969.

[38]I canonici regolari premostratensi(in latinoCandidus et Canonicus Ordo Praemonstratensis) sono un ordinecanonicaledi diritto pontificio: i religiosi, detti anche norbertinio canonici bianchi, pospongono al loro nome la siglaO. Praem.

[39]         j. Brodrick,  San Roberto Bellarmino, Milano, 1965, 52.

[40]         Riteniamo utile di aggiungere cui altre notizie sulle pubblicazioni dei discorsi di Bellarmino, riportate dallo stesso j. Brodrick, p. 52: Altri grossi volumi con i discorsi del Bellarmio pronunziati in vari posti, furono pubblicati a Napoli durante la sua vita, e nel 1942-1950 un gesuita olandese, Sebastiano Tromp, professore all’Università Gregoriana pubblicò in 9 grossi volumi i discorsi di S. Roberto, ancora in manoscritti. Vesti volumi contengono le sue prediche domenicali tenute a Roma nel 1599-1606, due altri volumi di prediche domenicali, un volume di prediche per varie occasioni, uno di prediche in lode di Cristo, del Santissimo Sacramento, della Beata Vergine, degli Apostoli e dei Santi. La lunghezza media di ciascun volume è di 364 pagine.

[41]         M. Introvigne, S Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, http://www.santiebeati.it/dettaglio/29150

[42]         V. De Laurentis, «Immagini ed Arte in Bellarmino»,in R. De Maio (ed.), Bellarmino e la Controriforma,Sora, 1990, p.581.

[43]De Eccl. Tr., lib II, cap. V. p.473.

[44]V. De Laurentis,«Immagini ed Arte in Bellarmino», in R. De Maio, (ed.),  Bellarmino e la Controriforma,Centro di Studi Sorani, 1990,pp. 584-588.

[45]         De Eccl. Tr. Lib II cap. VII, p. 476.

[46]         Per approfondire l’argomento G. Scavizzi, Arte e architettura sacra.

[47]         V. De Laurentis, Immagini ed Arte in Bellarmino, inR. De Maio, (ed.), Bellarmino e la Controriforma, Sora, 1990,pp.600-601.

[48]De Eccl. Tr. Lib.III, capp. II-III, 518-519.

[49]R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950,p.7.

[50]R. Bellarmino,Ave Maria, Siena, 1950, p. 6.

[51]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p.6.

[52]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 10.

[53]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 11.

[54]         R.Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 11.

[55]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 21.

[56]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, pp. 24-25.

[57]         R.Bellarmino,Ave Maria, Siena, 1950, 2pp. 5-26.

[58]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, pp. 26-27.

[59]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, pp. 27-28.

[60]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 30.

[61]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950  pp. 30-31.

[62]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, pp. 31-33.

[63]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p.35.

[64]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 38.

[65]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 40.

[66]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 41.

[67]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 43.

[68]         Sulle Modalità Delle Apparizioni Angeliche Espresse Da S. Roberto Bellarmino Si Invita A Rivolgersi Al Paragrafo 3.5 Scritti Spirituali Sugli Angeli Della Presente Tesi.

[69]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 46.

[70]R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 54.

[71]R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 54.

[72]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 57.

[73]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 63.

[74]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 65.

[75]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 66.

[76]  R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 82.

[77]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 82.

[78]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, pp. 92-93.

[79]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 94.

[80]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 102.

[81]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 107.

[82]         R.Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p. 107.

[83]         Il dogma dell’immacolato concepimento di Maria fu sancito dalla Bolla “Ineffabilis” del 8 dicembre 1954 emessa dal papa Pio IX. Nel Cinquecento non era presa ancora nessuna posizione, ma i gesuiti si schierarono dalla fondazione in favore di Maria SS.ma Immacolata. Ne abbiamo due testimonianze importante nella Cappella Madonna della Strada: sull’altare è scritto con grandi lettere: “Mariae Immaculatae Sacrum” , e all’entrata nell’atrio a destra abbiamo il dipinto che raffigura Maria Immacolata. Dopo emanazione della dogma papa Pio IX si recava diverse volte nel corso dell’anno nella Cappella.

[84]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p.108.

[85]         R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950, p.117.

[86]         Tra i scritti che hanno avuto le maggiori ripercussioni sull’arte possiamo citare: I.Molanus, De picturis et imaginibus sacris(1570), De histora ss. imaginum et picturarum(1590), G.Paleotti, Discorso sopra le immagini sacre e profane, F. Borromeo, De pictura sacra, F.Pacheco, l’Arte de la pintura.

[87]         E. Guerriero (ed.), Iconografia e arte cristiana, Milano, 2004, p. 850.

[88]M. Farugia, La Madonna della Strada, Roma, 2002, p. 58.

[89]Trad.: Chi è costei che sorge come l’aurora.

[90]Trad.: Con lei le vergini compagne a te sono condotte, entrano insieme nel palazzo del re.

[91]Trad.: Maria, Madre di Gesù era sposata a un uomo di nome Giuseppe della casa di David.

[92]Trad.: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà chiamato Emmanuele.

[93]Trad.: Come Elisabetta udì il saluto di Maria, il bimbo le sussulta nel seno” .

[94]Trad.: Chi è cole che sale dal deserto” .

[95]Trad.: Tutta bella tu sei, amica mia, in te nessuna macchia.

[96]         E. Guerriero (ed.), Iconografia e arte cristiana, Milano, 2004, p. 855.

[97]         R. Bellarmino, Ave Maria, Siena, 1950, p. 108.

[98]         E. Guerriero (ed.), Iconografia e arte cristiana, Milano, 2004, p. 865.

[99]E. Guerriero (ed.), Iconografia e arte cristiana, Milano, 2004, p. 859.

[100]E. Guerriero (ed.), Iconografia e arte cristiana, Milano 2004, p. 855.

[101]R. F., SMITH, L’Annunciazione nell’arte,www.foliamagazine.it/annunciazione-origini/

[102]R. Bellarmino,  Ave Maria, Siena, 1950,  p. 107.

[103]E. Guerriero (ed.),  Iconografia e arte cristiana, Milano, 2004, p. 859.

[104]Solo il 1 Novembre del 1950, Pio XII proclama solennemente il dogma «Munificentissimus Deus» sull’Assunzione della Vergine.

[105]E. Gueriero (ed.), Iconografia e arte cristiana, Milano, 2004, p. 860.